Quanti luoghi comuni sui sogni. When I was young..

Ricordo che da bambino avevo chiaro che per poter realizzare le “cose”, le dovevo prima sognare.

Così che prima di realizzare la più bella “barracca” (signorilmente “casetta”) di pietre, legno, tetti posticci con frasche e nylon, la sognai. Sognai anche come costruirla, con tecniche e pratiche così così, figlie della fantasia di un ragazzetto che si avvicinava alla autodeterminazione, così che i più grandi, memori dell’esperienza e dei fallimenti precedenti, corressero il progetto e le mie azioni “suicide…”. Ricordo però che ci fu chi credette in me e venne fuori un progetto innovativo ed una bellissima nuova sede dei ragazzetti del villaggio.

Divenne un luogo di ritiro, rifugio, pianificazione e gioco del gruppo dalle “ginocchia ancora sbucciate” (così era solito accarezzarci, a modo suo, il vecchio zio che si compiaceva di una certa nostra vivacità), tanto che iniziammo a progettare altre imprese. Ricordo che di lato, a circa 20 mt dalla nostra casetta, ne sorse un’altra, del gruppo dei più piccoli, che guardava la nostra come si guardava allora ciò che sai che sarà anche tuo e che il tempo ti concederà con la crescita.

Penso a quanto ci ha insegnato quel sogno realizzato.

Oggi credo che la nobiltà del sogno sia stata vilipesa e violentata dalla globalizzazione e dalla speculazione. Penso che abbiamo perso la capacità di sognare il futuro e di trovare la forza di realizzarlo.

Il modello dominante ha capito molto bene tutto ciò, e si preoccupa anche di “fornirci” i sogni…  Bontà sua, ci “fornisce” anche la strada per realizzare i sogni che ci ha offerto, raccomandandoci di percorrere quella strada nel più breve tempo possibile, per soddisfare sogni sempre più grandi. Ci ritroviamo così a dilapidare i patrimoni che abbiamo: le relazioni sociali, il tempo, l’ambiente, la memoria, l’identità per perseguire i sogni che ci hanno regalato. Ci ritroviamo a trascurare i nostri vecchi, ai quali dobbiamo tutto, i nostri cari, i nostri amici, la nostra Comunità.

Viviamo di sogni altrui, nel tentativo di emulare modelli improbabili, di impossessarci dell’ultimo IPhone, dell’ultimo acquisto, dell’ultimo post, delle amicizie virtuali e della gratificazione che l’apparenza di realizzazione da a chi ha perso la capacità di sognare con la Comunità.

Abbiamo messo i nostri (veri) sogni nel cassetto. Ci amareggiamo per una vita, rincorrendo un modello distruttivo (per noi, per gli altri, per l’ambiente) per permetterci di comprare cose inutili, prodotte da altri che lavorano per realizzare quelle cose inutili, che ci lasceranno comunque insoddisfatti. Pensiamo ogni giorno all’incubo successivo, che sarà possedere l’ultimo modello di qualcosa di esclusivo che rende gli zombie, in una massa di zombie, meritevoli di rispetto.

Si, zombie. Non mi viene altro termine per definire chi ha perso la capacità di sognare per la Comunità. Siamo diventati quelli che hanno deposto le armi (del pensiero e della ragione), che hanno riposto i sogni nel cassetto e nascondono a loro stessi ed ai loro figli gli scheletri negli armadi.

Ma abbiamo tutti, sono certo, dico tutti, voglia di riprendere a sognare.

Tanti hanno ripreso a sognare per la Comunità. Tantissimi hanno iniziato a farlo adesso, in preda all’incubo della pandemia che ci ha messo di fronte alla triste verità di un mondo globalizzante, che ci considera consumatori uniformati e ci porta via l’unica cosa che conta: il futuro.

E mentre lo porta via a noi, adulti e consenzienti, lo sta negando a chi resterà dopo di noi.

Fermiamoci un attimo a guardare negli occhi un bimbo. Possiamo ritrovare in quello sguardo la voglia di sognare ed il motivo perché lo dobbiamo fare: non per noi, ma per loro. Allora avrà di nuovo senso dire che siamo ciò che sogniamo. Ieri, con tante amiche e amici già impegnati a sognare e fare, ci siamo detti che sogniamo cambiamenti epocali ed un movimento organizzato e rivoluzionario.

Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni e nello spazio e nel tempo di un sogno è raccolta la nostra breve vita (William Shakespeare. La tempesta, atto IV, scena I)

Sogniamo Comunità ispirate dalla sostenibilità, aperte all’era digitale, glocal. E per essere certi che non ci vendano ancora una volta l’aria stessa che respiriamo, ricordiamoci cosa intendiamo per glocal, che non è global. Sogniamo una Comunità che non si vergogna di sé stessa, anzi. Una Comunità che possiede una forte memoria, una chiara identità, fondamenta culturali solide, tali che non fanno temere l’innovazione e le relazioni con il progresso tecnologico; perché il progresso, comunque, può migliorare la qualità della vita, dei servizi e delle relazioni sociali ed economiche nei nostri territori. Vediamo una Comunità che lavora con risorse proprie sulle produzioni e sui servizi locali. Pensiamo di essere capaci di rinunciare a quote di “globale” per recuperare identità e autonomia alimentare, culturale e artigianale.

Guardiamoci negli occhi oggi, in questo disgraziato periodo Covid-19. Riscopriamo il mondo globalizzato in tutta la sua intrinseca debolezza, cerchiamo nella natura il luogo di rifugio mentre ci guarda addolorata per ciò che noi stessi le abbiamo fatto. Guardiamoci nel profondo, in questi giorni in cui non possiamo neanche abbracciarci e tenerci per mano.

Ora, nell’emergenza del fallimento del modello economico globale, che ha portato crisi economica e sociale ben prima della crisi sanitaria, ci dicono che bisogna ripartire. Ma per andare dove?

Sognare per la Comunità è il primo passo. Muoversi e realizzare il sogno è il secondo.

Siamo d’accordo, come ovvio, sulla ripartenza. Bisogna ripartire per recuperare chi in questa fase è indietro ed in difficoltà. Ma pretendiamo di sognare “dove dobbiamo andare” con questa ripartenza.

Se avete voglia di sognare in modalità “condivisa”, aiutateci ad organizzare i piccoli e laboriosi passi della rivoluzione SAVE Sardinia.

Perché, ha detto qualcuno prima di noi, i sogni possono essere veri. Domani sarà senz’altro un nuovo giorno e ancora un nuovo sogno potrà guidarci.

Sandro Murtas Associazione BS 1879

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